Poggio Bracciolini
Venne una volta ad un vecchio usuraio, che simulava di avere smesso
il mestiere, un tale a cercare denaro ad usura, e gli portò
in pegno una croce d'argento, nella quale era una particella del
legno della croce di nostro Signore; e avendo chiesto al vecchio
il danaro: «Io», disse questi, «ho già smesso
di commettere questo peccato di dare ad usura; ma va' da mio figlio,
(e gli disse il nome), il quale vuol perdere l'anima sua e domanda
a lui il prestito». E mandò seco un servo perché
gli insegnasse la casa dove abitava il figliuolo; erano già
lontano, quando il vecchio richiamò il servo: «Ohè
tu», gli disse, «di' a mio figlio, che si ricordi di
detrarre dalla croce il peso del legno». E quest'uomo, che
pareva pentito, non volle che suo figlio stimasse per argento
il legno della croce, credendolo di minor prezzo. Ognuno torna
facilmente alla sua abitudine.
Un tale prendeva degli uccelletti che erano chiusi in una gabbia
e li uccideva stringendo loro la testa. E mentre ciò faceva,
prese per caso, a gemere lacrime dagli occhi. Allora uno degli
uccelli carcerati disse agli altri: «State di buon animo,
perché ora lo vedo lacrimante, ed avrà compassione
di noi». E il più vecchio rispose: «Figlio mio,
non guardargli agli occhi, ma alle mani». E mostrò
come non si debba por mente alle parole, ma bensì alle
opere.
Un tale di Milano, soldato millantatore, di stirpe di cavalieri,
venne a Firenze ambasciatore, e tutti i giorni per ostentazione
portava al collo catenelle di vario genere. Vide la sciocca vanità
di costui Niccolò Niccoli, che fu uomo dottissimo e arguto:
«Quegli altri matti», disse, «soffrono di essere
legati ad una catena sola; costui invece è tanto matto,
che di una catena non si contenta».
Nella guerra che si fece fra Papa Gregorio XI e i Fiorentini,
il Picentino e quasi tutte le province Romane abbandonarono la
causa del Pontefice. L'ambasciatore di Recanati, mandato a Firenze,
venne a ringraziare i Priori della libertà che i Recanatesi
avevano avuto per aiuto dei Fiorentini ed inveì con gravi
parole contro il Pontefice e i suoi ministri, e principalmente
contro tutti i Signori e i tiranni, detestando il loro cattivo
governo e i loro delitti, non avendo alcun rispetto né
anche per Ridolfo, che allora era capitano dei Fiorentini, il
quale per questo assisteva alle udienze degli ambasciatori e udì
la lunga detrazione che di lui si fece. Allora Ridolfo chiese
all'ambasciatore di che facoltà o arte fosse, e quegli
rispose esser dottore in diritto civile, e Ridolfo gli chiese
ancora per quanti anni avesse studiate le leggi. E avendo risposto
quello, che per più di un decennio aveva data opera a quegli
studi: «Come vorrei», esclamò Ridolfo, «che
tu per un anno solo avessi studiata la discrezione!». E rispose
degnamente con quelle parole a quello stolto, che essendo egli
presente aveva tanto detto male de' Signori.
Un tale che era giudice di un litigio, ebbe da uno dei litiganti
un orcio d'olio, con la promessa che la sentenza sarebbe a quello
favorevole; quando l'altro seppe la cosa, mandò al giudice
un porco grasso, pregandolo che lo favorisse. Ed egli dié
la sentenza in favore di quello del porco, e all'altro che si
lamentava seco e della mancata promessa e dell'olio mandato, disse
il giudice: «Venne in mia casa un porco, e quando trovò
il vaso dell'olio lo ruppe, e sparse l'olio; ed è così
che io ho dimenticato». E questa per quel giudice venale
fu un'eccellente risposta
Due ragazze erano alla finestra della loro casa che dava su di
un orto, e in quel mezzo uscì l'ortolano, vecchio e calvo,
per mangiare; e avendolo visto deforme per la calvizie, gli chiesero
se desiderava sapere il modo di far nascere i peli. Ed avendo
risposto che ciò desiderava, dissero le giovani per giuoco
che si lavasse il capo coll'urina della moglie. Ed egli, voltosi
verso di loro: «Questa vostra medicina», disse ridendo,
«non è punto buona; e lo provai col fatto: poiché
da trent'anni lavo in quel modo questo amico mio (e lo additò
con la mano) e pur tuttavia né anche un pelo gli è
spuntato su1 capo».
Enrico da Monteleone era procuratore delle cause nella Curia Romana,
ed era assai vecchio, e assai ignorante nell'arte sua; e per questo
aveva il soprannome di Messer perde il piato. Una volta che gli
chiesero per qual ragione perdesse sempre le sue cause: «Perché»,
rispose, «tutti quelli che chiedono il mio patrocinio voglion
le cose ingiuste, e per questo in qualunque causa sono inferiore».
E questa fu una graziosa risposta di quell'uomo ignorante.
Un viaggiatore affamato si fermò ad una taverna e riempì
il ventre di cibo e di vino; e quando l'oste gli chiese il denaro,
rispose che non aveva un soldo, ma che gli avrebbe cantato delle
canzoni. E il taverniere soggiunse che non ci volevano canzoni,
ma denari. E l'altro: «Se ti dirò una canzone che
ti piaccia, la prenderai tu pe' il denaro?». E l'oste acconsentì,
e il viandante ne cantò una. Chiese all'oste se gli piacesse,
e questi scosse il capo; e il viaggiatore ne disse un'altra ed
un'altra ancora; e l'oste disse che non gli piaceva: «Ora»,
disse l'altro, «te ne dirò una che ti piacerà».
E cavata la borsa, come se la volesse aprire, intonò la
canzone dei viaggiatori: «Metti mano alla borsa e paga l'oste»
. E; quando ebbe finito, chiese se gli piacesse: «Questa
mi piace», rispose. E il viandante: «Per i1 patto che
abbiam fatto, tu se' pagato; perché questa canzone ti è
piaciuta». E se ne andò senza pagare.
Un nostro concittadino, mio amicissimo, è di corpo molto
magro e macilento. Un giorno uno se ne meravigliava e ne chiedeva
la ragione, ed un altro argutamente gli rispose: «Perché
meravigliate di così semplice cosa? egli sta mezz'ora a
tavola a mangiare, e a metter fuori le materie del corpo perde
due ore». Alcuni hanno davvero costume di perdere molto tempo
a sgombrarsi il ventre.
Una signora, nostra concittadina, onestissima donna, era richiesta
da un messaggero se non avesse ella lettere da consegnargli per
suo marito, che era lontano, ambasciatore della Repubblica: «Come
mai», rispose, «potrei io scrivere, se mio marito ha
portato seco la penna ed ha lasciato vuoto il calamaio?».
Faceta ed onesta risposta.
Uno dei nostri concittadini, che era uomo molto arguto, era da
molto tempo tormentato da grave malattia. E venne a lui un frate
per esortarlo alla pazienza e, fra le altre parole di consolazione,
gli disse che Dio soleva infliggere dei mali a coloro che egli
amava: «Non mi meraviglio», disse il malato, «che
Iddio abbia così pochi amici; ché se li tratta in
questo modo, ne avrà anche meno».
Uno di quei frati che vanno intorno e chieggono la elemosina per
Sant'Antonio, persuase un contadino a dargli non so qual frumento,
con la promessa che tutte le cose sue, e specialmente le pecore,
sarebbero per un anno immuni da danno qualsiasi. E il villano,
fidando sopra questa promessa, lasciò liberamente vagare
le sue pecore, e un lupo glie ne mangiò molte. Sdegnato
per questa cosa, quando, l'anno dopo, il frate tornò pel
frumento, negò di darglielo, e si lamentò anche
che fossero state vane le sue promesse. E chiestane il frate la
ragione, rispose il villano che il lupo gli aveva rapito le pecore:
«I1 lupo», disse l'altro; «oh! oh! è esso
una cattiva bestia, e non te ne fidare; non solo ingannerebbe
Sant'Antonio, ma lo stesso Cristo se potesse». Ed è
cosa stolta aver fede in coloro che fanno mestiere della frode.
Un tale, o sul serio o per ingannare il prete, andò da
questo, dicendogli che voleva confessare i suoi peccati. E invitato
a dire ciò che si ricordasse, disse che aveva rubata non
so che cosa di nascosto ad un altro, ma aggiunse che quello aveva
molto più rubato a lui. E il sacerdote: «Una cosa»,
disse, «si computa coll'altra e siete pari»,. Poi aggiunse
che aveva bastonato qualcuno, ma che aveva ricevuto anch'egli
qualche colpo; e nella stessa guisa, disse il prete, che uguale
era la colpa e la pena. E avendo nello stesso modo parlato di
molte cose, il sacerdote dissegli che una cosa coll'altra si compensava.
E il penitente: «Ora», disse, «rimane un peccato
del quale mi vergogno ed arrossisco, con voi specialmente che
ne siete offeso». E avendolo il sacerdote esortato a lasciar
la vergogna e a dire liberamente dove avesse peccato, egli resistette
lungamente, poi mosso dall'insistenza del sacerdote: «Io»,
disse, «ho avuto tua sorella». «Ed io», disse
il prete, «ho più volte avuta tua madre, e come per
le altre cose, l'una compensa l'altra». E per questa eguaglianza
di peccato lo assolse.
Un fanciullo di Firenze portava nell'Arno di quelle reti che servono
per lavar le lane; un altro fanciullo che incontrò, gli
chiese per giuoco: «A che caccia vai con coteste reti?».
E l'altro: «Vado all'uscita del lupanare per vedere di prender
tua madre». «Ah!», rispose l'altro, «sta'
ben in guardia e fa' con diligenza, che troverai anche la tua».
E ambedue furono argute risposte.
Un giovane nobile ungherese, invitato a pranzo da un parente di
maggior nobiltà, vi andò a cavallo, seguito dai
servi; e quando vi giunse, disceso da cavallo, si fecero incontro
gli uomini e le donne, e tosto, poiché l'ora era tarda,
lo portarono alla tavola che era preparata. Lavate le mani, lo
posero a mensa fra due belle fanciulle, figliuole dell'ospite.
I1 giovane che sentiva bisogno di mingere, taceva per pudore,
e non essendovi pretesto di alzarsi durante il pranzo, aveva così
forte dolore alla vescica, che si dimenticava di prendere cibo.
Tutti s'erano accorti di questa sua sospensione di animo, e che
andava lento a mangiare, e tutti lo eccitavano, quando egli, mosso
dal dolore, pose la destra sotto la tavola, e di nascosto quell'affare
gonfio introdusse in uno degli stivali, per lasciar finalmente
andare quel liquido. In quel punto, la giovane ch'egli aveva alla
destra gli disse: «Su dunque! mangiate!». E in questa
gli prese il braccio, e trasse sulla tavola la mano, con quel
che c'era, in modo che tutta la tavola ne fu inondata. A questo
insolito spettacolo risero tutti e il giovane si fe' rosso di
vergogna.
Una donna che abitava nei dintorni di Firenze, moglie di un oste,
e che era molto liberale, giaceva un giorno con l'amante suo;
venne frattanto improvvisamente un altro, per far quello che l'altro
faceva, e la donna che lo sentì salir le scale gli andò
incontro, e prese a rimproverarlo e a impedirgli di andar oltre,
dicendo che non aveva tempo per contentarlo e pregandolo di andarsene
subito. Quegli non voleva, ed essendo durati qualche tempo nella
contesa, in questa sopravvenne il marito, che volle sapere la
ragione del litigio: «Costui», rispose la donna, «è
adirato e vuol andar di sopra, per ferire un tale che si è
rifugiato nella casa e che io ho nascosto perché non avvenga
questo delitto». Colui che stava nascosto, udite queste parole,
prese a proferir minacce e a dire che voleva vendicar l'affronto.
E l'altro simulò di minacciare e di far forza contro quello.
E il marito, sciocco, cercò la causa del dissenso di que'
due, e si assunse l'impegno di metter pace fra loro, e dopo aver
parlato con entrambi, la concluse e fece bere loro del suo vino,
e all'adulterio la donna aggiunse anche il danno della bevuta.
Perché le donne prese sul fatto sono sempre molto astute
per rimediarvi
Eravi a Firenze uno stoloto, chiamato Nigniaca, che non era furioso
e anzi abbastanza giocondo. Alcuni giovani allegri, per averne
da ridere, vollero persuaderlo che aveva molto male, e concertata
la cosa, quando uno di loro uscì di casa la mattina e incontrò
il matto e gli chiese che male avesse, perché aveva la
faccia stravolta e pallida: «Nessuno», rispose il matto.
Poi, dopo essere andato un poco innanzi, un altro della congiura
lo interrogò se avesse egli la febbre, da quel che si vedeva
dalla faccia smorta e da ammalato. E lo stolto prese a dubitarne,
come se quel che e' dicevano fosse vero. E andava timidamente
e a passo lento, quando s'imbatté in un terzo che, come
era stabilito, appena vistolo: «Hai una faccia», disse,
«che mostra che sei gravemente malato ed hai una violentissima
febbre». E quello temé sempre di più, e fermatosi,
stava pensando se realmente si sentisse in febbre. E sopraggiunse
un quarto, che affermò che egli era infermo, e si meravigliò
che e' non fosse in letto e lo persuase ad andarsene subito a
casa, e si offerse come amico, e promise che l'avrebbe curato
come un fratello. Lo sciocco tornò indietro, come se fosse
preso da grave malore, ed entrò nel letto, che parea che
spirasse. E gli altri amici vennero tutti alla casa e dissero
che aveva ben fatto quello che l'aveva messo a letto. Poco dopo
venne un tale che si spacciava per medico, e toccato il polso,
disse che il malato poco dopo sarebbe per quel male morto. E i
circostanti diceansi gli uni agli altri: «Già incomincia
a morire, già gli si freddano i piedi, già balbetta,
già si fan di vetro gli occhi». E tutti in una volta:
«È spirato. Chiudiamogli dunque gli occhi e componiamolo
e portiamolo a seppellire». E poi: «Oh! che disgrazia
è per noi questa perdita! Egli era buono e nostro amico».
E si consolavano a vicenda. Lo stolto, come se fosse morto, persuase
se stesso di esser morto. Postolo sul feretro, quei giovani lo
portarono per la città, e quando i passanti chiedevano
che ciò fosse, rispondevano che era Nigniaca che essi portavano
al sepolcro. E lungo il viaggio molti presero parte al giuoco.
Ad un punto saltò su un taverniere: «O che cattivo
animale fu egli mai, e che pessimo ladro, degno di essere appiccato!».
Allora lo stolto, udite queste parole, alzò il capo: «Se
fossi vivo», rispose, «come son morto, ti direi, furfante,
che tu menti per la gola». E coloro che lo portavano diedero
in un gran riso e lasciarono l'uomo nel feretro.
Due amici, al passeggio, discutevano se fosse maggiore la voluttà
nel fare all'amore o nello sgombrarsi il ventre, e videro una
donna che non aveva mai disprezzato di trovarsi con gli uomini:
«Chiediamolo a costei», disse uno, «che è
esperta in entrambe le cose». «No», rispose l'altro,
«costei non può giudicare la cosa; perché fece
all'amore di più che non abbia cacato».
È da aggiungersi alle altre storielle anche questa, che
è molto conosciuta a Mantova. E' vicino alla città
un mulino il cui padrone era nominato Cornicula. Una sera di estate
stava seduto su1 ponte, e vide passare una giovane contadina che
pareva senza asilo, e la invitò, poiché l'ora era
tarda, e il sole tramontava, ad entrare in casa da sua moglie.
Avendo ella acconsentito, chiamò un servo e gli ingiunse
di accompagnarla dalla moglie, di darle da cena, e di metterla
a letto. Rimandato il servo, la moglie, che aveva capito che il
marito faceva la voglia della giovane, la pose nel suo letto,
e nel letto che egli le aveva destinato andò essa a dormire.
I1 marito stette per il suo mestiere alzato tutta la notte, e
tornato di nascosto a casa entrò nella stanza, e non sapendo
dell'inganno, in silenzio si servì della moglie, che non
disse parola. E quando uscì, raccontò la cosa al
servo, dicendo che se voleva, entrasse; e questo ebbe la moglie
del padrone. Cornicula, poi, andò nella camera solita e
andò in letto zitto per` non destar la moglie, come credeva
Alla mattina sorse pel primo e se ne andò senza parlare,
credendo di avere avuta la ragazza. Quando tornò a casa
all'ora del pranzo, la moglie gli si fe' incontro e gli diede
cinque uova da bere. Meravigliato l'uomo della novità della
cosa, le chiese che volesse ciò significare, ed essa tutta
allegra disse che gli offriva tante uova quante miglia quella
notte aveva seco fatte. Capì l'uomo di essere stato preso
al laccio che egli aveva teso, e fingendo di essere stato egli
solo nella camera con la moglie, bevve le uova. Accade spesso
che i malvagi siano puniti con la loro stessa malvagità.
Andavano per le vie di Firenze due amici parlando, e uno di questi
era bislungo e corpulento, e brutto e nero di faccia. Questi,
veduta una giovinetta che passeggiava con la madre: «Costei»,
disse per scherzo, «è una giovinetta bella e molto
graziosa». L'altra, fatta insolente da tali parole: «Non
si potrebbe», rispose, «dire altrettanto di voi».
«Oh, sì anzi», disse l'altro, «se uno volesse
mentire come ho fatto io con voi».
Uno Spagnuolo amico mio mi raccontò di un motto arguto
di una donna, il quale mi pare debba aggiungersi a queste nostre
storie. Un tale, di età matura, condusse in moglie una
vedova, e nella prima notte, servendosi del matrimonio, trovò
la stanza più larga di quel che credeva: «Amica mia»,
le disse, «questa tua stalla è più grande di
quello che abbisogni al mio armento». E la donna: «Ma
questa», rispose, «è colpa tua; poiché
il marito mio che morì (e che Dio gli abbia misericordia)
la riempiva così bene, che spesso i
becchi non trovavan posto e stavano di fuori». Risposta arguta
e graziosa.
Un vescovo, che io ho conosciuto, aveva perduto qualche dente
e ne aveva altri che ciondolavano, e temeva della loro caduta.
Un giorno gli disse un amico: «Non temete, i denti non cadranno».
E chiestane la ragione: «I miei testicoli», rispose,
«già da quarant'anni ciondolano, pare che cadano,
e non son mai caduti».
Ho io in animo, prima di chiudere la serie di queste nostre storielle,
di aggiungere anche in qual luogo la maggior parte di esse, come
il teatro fosse, furon dette; e questo fu il nostro Bugiale, specie
di officina di menzogne che fu da' Segretari fondata per ridere.
Fin dal tempo di Papa Martino avevamo abitudine di scegliere un
luogo in disparte, in cui ci comunicavamo l'un l'altro le nuove,
e dove si parlava di varie cose, sia sul serio, sia per distrarre
l'animo. Ivi non la si perdonava ad alcuno, e si diceva male di
tutto ciò che ci dispiaceva; e spesso lo stesso Papa dava
materia alle critiche nostre; ed era per questo che molti venivano
in quel luogo per paura di non essere i primi colpiti. E fra i
narratori il primo era Razello da Bologna, dal quale ho raccolto
molte delle storie narrate. E anche Antonio Lusco, del quale spesso
si parla, era uomo molto arguto, e anche Cencio Romano, dato anch'egli
alla burla. E pure qualcuna delle mie vi aggiunsi, che non sono
del tutto sciocche. Ora i miei amici sono morti e il Bugiale non
è più, e per colpa de' tempi e degli uomini si va
perdendo il buon uso dello scherzo e del conversare.
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