Poggio Bracciolini
All'assemblea de' magistrati di Perugia un villano chiedeva una
certa grazia e uno di essi si oppose come se essa fosse disonesta.
Il dì dopo, il villano molto avveduto condusse a casa del
suo contradditore tre asini carichi di frumento; al quarto giorno
quel tale mutò d'avviso e sostenne la causa del villano
con molto calore. Uno che gli era vicino disse ad un amico mentre
egli parlava: «Non odi come quegli asini ragliano? Alludeva
scherzando al frumento che l'altro aveva ricevuto.
Un ricco, che avviluppato nelle vesti andava a Bologna d'inverno,
incontrò per la montagna un villano coperto di una camicia
sola tutta lacera, e meravigliato che tanta forza del freddo (cadeva
la neve e soffiava il vento) quell'uomo potesse sopportare, gli
chiese se non si sentisse diacciato. «Niente affatto»
rispose l'altro, lieto in volto; e avendogli aggiunto ch'egli
era stupefatto della risposta, poich'egli sotto le pellicce aveva
anche freddo: «Se voi», disse il villano, a portaste
tutti i vestimenti, che avete, indosso come faccio io, non sentireste
più freddo».
Un montanaro di Perugia voleva sposare una giovane figliuola di
un vicino; e quando la vide, essendogli parsa troppo fanciulla
e ancor tenera, il padre di questa, che era uomo sciocco, gli
disse: «Ella è più matura di quello che credi;
ha già avuto tre figli dal chierico del nostro curato».
A Bruges, che è una gran città d'Occidente, una
giovane molto inesperta confessava un giorno i suoi peccati al
prete della sua parrocchia. E questi, fra le altre cose, le chiese
ancora se avesse sempre pagate le decime al piovano, e la persuase
che queste si dovevano dare anche nella parte cui ha diritto il
marito; e la giovane, per non aver da essere debitrice di nulla
ad alcuno, lo contentò immantinente. Tornò essa
a casa più tardi del solito, e al marito, che glie ne chiese
la ragione, disse senza alcun timore ciò che era avvenuto.
Il marito finse di non darsene per inteso e dopo quattro giorni
invitò a pranzo il prete, insieme con molti amici perché
la cosa fosse meglio conosciuta; e quando furono a tavola, narrò
la storia, e rivolto al prete: «Poiché», gli
disse «voi dovete avere le decime su tutte le cose di mia
moglie, abbiatevi dunque anche queste», e così dicendo,
pose sotto la faccia del prete, che non si moveva, un vaso pieno
di sterco e di urina della moglie, e lo costrinse a mangiare.
Un certo sarto di Firenze pregò un medico di visitare la
moglie che non si sentiva bene. E questi, essendo lontano il marito,
venne alla casa e si giovò della moglie sul letto per quanto
ella non volesse. Quando tornò il marito, il medico stava
per uscire, e seppe che egli avea curata la moglie come si conveniva;
ma questa trovò poi tutta in lacrime. Conosciuto il tradimento
del medico, tacque; e dopo otto giorni prese seco una pezza di
finissimo panno e andò dalla moglie del medico, dicendole
che questi l'aveva mandato per prenderle la misura di una sottoveste
che si chiama cotta. Era necessario che, per tale bisogna, quella
donna, che era bellissima di forme, si mettesse quasi nuda, perché
ei potesse più giustamente prendere la misura del corpo
e far meglio la veste. E quando fu nuda, e non v'era alcuno, il
sarto fece l'affar suo, e rese la pariglia al medico; al quale
di poi non mancò di raccontarlo.
Un Fiorentino, che si reputava furbo, erasi fidanzato con la figlia
di una vedova e veniva spesso, come è costume, alla casa
di lei; un giorno che la madre non v'era, egli si godé
la fanciulla. Quando ella tornò, seppe tutto ciò
che era avvenuto dal viso della figlia, e prese a rimproverarla
acerbamente, dicendole che aveva disonorata la casa e conchiudendo
in ultimo che quel matrimonio non si sarebbe conchiuso e che ella
avrebbe fatto ogni sforzo per scioglierlo. Tornò il giovane
quando la sua futura suocera era uscita, come e' soleva fare,
e quando vide la fanciulla mesta e ne chiese la causa e seppe
che la madre avea deciso di dissolvere il matrimonio: «E
tu», le chiese, «che intendi fare?». «Di ubbidire
la mamma», rispose. «Puoi farlo, se tu vuoi», soggiunse
il giovane; e poiché ella gli chiese in qual modo poteasi
ciò fare: «Poco fa», disse egli, «tu sei
stata di sotto; ora vieni tu sopra, ché coll'atto contrario
si dissolve il matrimonio». Ed ella acconsentì e sciolse
il matrimonio. Dopo del tempo ella andò a marito ed egli
prese un'altra moglie, e alle nozze di questo ella venne, e quando
si videro, al ricordo delle cose passate sorrisero fra di loro;
la sposa, che vede questo, sospettando a male, alla notte, chiese
al marito che cosa significasse quel sorriso; egli non voleva
dirlo, ma fu costretto, e confessò la sciocchezza di quella
fanciulla. E allora la moglie: «Che Dio confonda colei che
fu tanto matta da far capire la cosa alla madre. Che bisogno c'era
di andare a dire alla mamma la faccenda vostra ? So bene che io
feci la stessa cosa più di cento volte col nostro servo,
ma io non feci mai di ciò parola alcuna alla madre».
Tacque il marito e capì di aver avuto ciò che si
meritava.
Un usuraio di Vicenza invitava spesso un frate, che era
uomo di grande autorità e che spesso predicava al popolo,
a fare una predica contro gli usurai, imprecando con tutte le
forze contro quel vezzo che era fra tutti il più radicato
nella città; e ripeteva questo invito con tanta insistenza
da riuscire molesto. Meravigliato un tale che egli così
continuamente insistesse perché fosse vituperato il mestiere
che egli stesso faceva, gli chiese a che volesse riuscire con
le sue sollecitazioni: «Qui», rispose l'usuraio, «sono
moltissimi che dànno a prestito con usura, e poca gente
viene da me e non guadagno niente. Ma se gli altri si persuadessero
di smettere, io farei il guadagno che ora tutti assieme fanno».
Questa storia mi narrò ridendo quel frate.
Giannino, cuoco di Baronto Pistoiese, che aveva fatto il cuoco
anche a Venezia, narrò al pranzo dei segretari una novella
molto faceta. Fuvvi una volta un Veneziano sciocco che fu offeso
da un'ingiuria, e desiderava di avere dei figliuoli che gliela
avessero vendicata. Ma la moglie era sterile ed egli pregò
un amico, che diceva di essere assai abile artefice per procrear
figliuoli, perché gli facesse questo favore. E l'amico
pose ogni sua cura per far le parti del marito. Un giorno che
questi, per non disturbar la grande opera, l'aveva lasciato a
lavorare il campo, e passeggiava per la città, incontrò
il nemico suo ancor più minaccioso dell'usato: «Oh!
oh! », disse il nostro uomo, «taci tu, stolto; ché
non sai ciò che contro di te si faccia in casa mia; e se
tu lo sapessi, freneresti le tue minacce e penseresti a te stesso.
Si fa, sappilo dunque, si fa quello che farà poi le mie
vendette».
Ci raccontò ancora una simile sciocchezza di un altro Veneziano,
il quale, essendo montato a cavallo per andare in villa, teneva
gli speroni in tasca. E poiché il cavallo lentamente camminava,
egli lo batteva spesso ai fianchi coi talloni: «Ah! non ti
muovi?», gli diceva: «se tu sapessi che cosa ho in tasca,
tu cambieresti il passo».
Narrò ancora un'altra novella, della quale ridemmo moltissimo.
Disse che venne una volta a Venezia un ciarlatano, che aveva dipinto
in una banderuola un ordegno maschile cinto da molte legature.
Andò da lui un Veneziano e gli chiese che cosa significasse
quella distinzione; e il ciarlatano, per ridere, disse che il
suo affare era di tal natura, che se una donna ne avea solo la
prima parte, faceva dei mercanti; la seconda, dei soldati; la
terza, dei capitani; la quarta, dei papi; e chiedeva il prezzo
dell'opera proporzionalmente. Ciò credette prontamente
lo stolto, e, narrata la cosa alla moglie, chiamò a casa
sua il ciarlatano, e stabilito il prezzo, volle che gli facesse
un figliuolo soldato. E quando questi fu sulla moglie, il marito
fece finta di andarsene, ma si nascose dietro il letto; e mentre
essi erano intenti a fabbricare il soldato, saltò fuori
improvvisamente lo sciocco e spinse di dietro l'uomo con forza,
perché v'entrasse anche la quarta parte: «Per i Santi
Evangeli di Dio», esclamò, «avrò un papa!»
e credeva di aver frodato l'amico.
Un Veneziano, che andava a Treviso, cavalcava un cavallo preso
a nolo ed aveva il servo dietro a piedi. E nell'andare, questi
ebbe dal cavallo un calcio in una gamba, e adirato pel dolore,
afferrato un sasso per far male al cavallo, lo scagliò
per caso contro le reni del padrone; e questi, da sciocco, credette
che la cosa gli venisse dal cavallo; e poiché rimproverava
il servo che in causa della ferita lo seguiva lentamente e di
lontano: «Non posso venir più in fretta», gli
rispose questi, «per causa del calcio che mi fa male».
«Non te ne affliggere», rispose il padrone, «che
è un cavallo che ha questo vizio; anche a me poco fa ha
esso dato un gran calcio nelle reni».
Una volpe, che fuggiva da' cani che la inseguivano nella caccia,
si incontrò in un villano che sull'aia batteva il suo grano,
pregandolo a difenderla dai cani e promettendogli di non dargli
più danno al pollaio. Il villano acconsentì, e presa
una forcata di paglia, coprì con essa la volpe. Poco dopo
vennero i cacciatori a chiedergli se avesse vista una volpe che
fuggiva e che via avesse presa. Ed egli rispose loro che la volpe
era andata per una certa strada, con le parole, ma cogli occhi
e col gesto indicava ch'essa era sotto la paglia; e i cacciatori,
più attenti alle parole che ai gesti, continuarono la loro
via. Allora il villano, scoperta la volpe: «Mantieni dunque»,
le disse, «la promessa che mi hai fatta, perché l'hai
scampata per le mie parole, avendo io detto che eri lontana».
Ma essa, che aveva avuta grande paura ed aveva visti i gesti del
villano: «Le tue parole», rispose, «furono buone,
ma l'azione cattiva». Questo va detto di coloro che dicono
una cosa e ne fanno un'altra.
Un Fiorentino, che io conosco, fu costretto a vivere a Roma per
comprare un cavallo di cui aveva bisogno; e pattuì col
venditore, che chiedeva venticinque ducati per prezzo ed era troppo
caro, di dargliene quindici alla mano e di voler essere debitore
del resto. Il giorno dopo, quando venne a chiedere i dieci ducati
che rimanevano, ricusò di darglieli il Fiorentino: «Abbiamo
stabilito», egli disse, «io sarei tuo debitore di dieci
ducati; ma se io te li pagassi, non sarei più debitore».
Gonnella, che fu un saltimbanco molto faceto, promise per pochi
denari, di far diventare indovino un tale di Ferrara, il quale
desiderava molto questa cosa. Lo fece venire una volta seco in
letto, e silenziosamente mandò fuori dal ventre un grande
vapore, poi gli disse di mettere la testa sotto le lenzuola; e
quegli la mise e la ritrasse tosto pel gran puzzo: «Tu hai
fatto un gran peto», gli disse; e Gonnella: «Paga tosto
il tuo denaro, perché hai indovinato».
Anche un altro gli chiese di diventare indovino: «Con una
pillola sola», gli disse, «ti farò tale»,
e fatta una piccola pillola di sterco, glie la pose in bocca,
e quello sputò fuori pel fetore. «La pillola che mi
hai data», gli disse, «sa di sterco». E Gonnella
gli rispose che aveva indovinato giustamente e lo richiese del
prezzo che avevano stabilito
Quest'anno, d'ottobre, essendo di nuovo venuto il Pontefice a
Firenze, si narrò di molti prodigi e da persone di tanta
fede che a non credergli sembrerebbe follia. Lettere giunte da
Como da persone onoratissime che hanno vista la cosa, narrano
che in un certo luogo che è lontano cinque miglia di là,
alle ventun'ora di sera, fu vista una gran moltitudine di cani
che parevano rossi e che si credette fossero quattromila, andare
verso la Germania, e seguivano questa prima schiera una gran quantità
di bovi e di pecore, dopo questi venivano fanti e cavalieri divisi
in coorti ed in bande, alcuni dei quali collo scudo e in così
gran numero da parere un esercito; e alcuni di essi pareva che
avessero il capo, altri senza capo si vedevano. L'ultima schiera
era di un uomo grandissimo come un gigante; stava sopra un grandissimo
cavallo e aveva seco gran quantità di giumente di tutte
le sorta. Questo passaggio durò quasi tre ore e lo videro
in diversi luoghi; e di ciò sono molti testimoni, uomini
e donne, che per veder meglio si avvicinarono. E dopo il tramonto
del sole, come se passassero ad altri luoghi, non si videro più.
Dopo pochi giorni da Roma raccontarono altre cose, e di non dubbia
fede, poiché vi sono le prove. I1 venti di settembre si
scatenò un turbine di venti e furono strappate dal suolo
le mura di un castello abbandonato chiamato Borghetto, che è
lontano sei miglia dalla città, e la chiesa antichissima
che è vicina a quel luogo, e le pietre erano così
sminuzzate che pareva fossero state le mani dell'uomo. In una
bettola, che era luogo di riposo pei viandanti e dove molti si
erano rifugiati, tutto il tetto fu sollevato e portato molto lungi
di là sulla via, senza che ne venisse danno ad alcuno.
La torre della chiesa di Santa Ruffina, che è lontana dieci
miglia dalla città dall'altra parte del Tevere, e verso
il mare, in un luogo che si chiama Casale, fu svelta dal suolo
e rovinò. E a coloro che meravigliati ne chiesero la cagione,
due bifolchi, che stavano a Casale a coltivare i campi, venuti
per questi avvenimenti a Roma, narrarono di avere spesso veduto
camminare per le foreste vicine quel cardinale detto il Patriarca,
che poco tempo prima era morto di ferita, con una veste di lino,
com'è dei cardinali, e col berretto quadro come soleva
portarlo, mesto, che si lagnava e piangeva. E lo videro quel giorno
in cui fu così violento il turbine del vento, là
in mezzo, fra i venti, abbracciare quella torre e strapparla dal
suolo e rovinarla a terra. Oltre a ciò molti grossi alberi
e querci furono divelti dalle radici e gettati lontano. Nelle
quali cose prestandosi comunemente poca fede, molti andarono a
vedere e dissero che era vero.
Un notaro di Firenze, e che guadagnava assai poco dall'arte sua,
pensò a qualche altra scaltrezza per guadagnar danaro e
andò da un giovane a chiedergli se gli erano stati restituiti
cinquecento fiorini, che suo padre aveva una volta prestati ad
un tale che era già morto. I1 giovane, che non sapeva alcuna
cosa di ciò, disse che tale debito egli non aveva visto
in nome del padre. I1 notaro asseriva che l'istrumento l'aveva
egli stesso rogato, e spinse il giovane a chiedere ciò
che doveva dinanzi al podestà, rinnovando con denaro l'atto.
I1 figlio di colui che si diceva essere debitore, quando fu citato,
negò che il padre suo avesse mai presa alcuna cosa in prestito,
e che di quest'affare nulla risultava, com'è uso dei mercanti,
dai suoi libri; e subito andò dal notaro e lo prese a rimbrottare
come uomo falso, che aveva scritta cosa che non era avvenuta.
E il notaro: «Tu non sai», gli disse, «figlio mio,
che nel tempo in cui fu fatto quell'affare tu non eri ancor nato;
tuo padre prese a prestito quella somma, ma la restituì
dopo pochi mesi, ed io stesso ho fatto il contratto pel quale
tuo padre e assolto di quel debito». E quello diedegli il
denaro per rinnovar l'istrumento e fu tolto da quella molestia.
E così con bella frode il notaro ebbe denaro da entrambi.
Nel Picentino è una città chiamata Iesi. In essa
eravi un frate, che aveva nome Lupo, il quale amava una giovinetta
che era anche vergine; e questa, esortata molte volte, cedette
e acconsentì a far la voglia del frate. Ma temendo di dover
provare troppo grave dolore, esitava alquanto, onde il frate disse
che avrebbe interposta una tavoletta di legno, per il foro della
quale avrebbe 1anciata la freccia. Poi prese una tavoletta di
abete sottilissima, la perforò, e andò di nascosto
dalla fanciulla, introdusse il cordone nel foro, e prese a baciarla
soavemente, mentre sotto le vesti cercava il buon boccone. Ma
il cordone suddetto, per la bellezza del viso e per il contatto
di sotto, risvegliatosi, prese a gonfiarsi stranamente e fuor
di misura entro il foro, rimanendovi come strangolato; e la cosa
ben tosto fu a un punto tale, che non potea più né
entrare né uscire senza grande dolore. Cambiato in dolore
il piacere, il frate prese a gridare ed a gemere per il martirio
troppo grave. La fanciulla atterrita voleva consolar l'uomo, e
lo baciava e voleva che compiesse la cosa desiderata, e gli accresceva
il dolore; perché aumentandosi in quel modo il volume,
lo spasimo si facea peggiore. E il disgraziato si doleva e chiedeva
dell'acqua fredda per calmare quel gonfiore, bagnandolo. La ragazza,
che aveva paura di que' della casa, non osava chiedere acqua;
poi, commossa dalle grida e dal dolore di quell'uomo, andò
a prenderne, e bagnatolo, tolse alquanto il gonfiore. E come un
po' di rumore si faceva nella casa, il frate, desideroso di svignarsela,
tolse il cordone dalla tavoletta, ed era scorticato, massime al
di sopra; e quando dové chiamare il medico per la cosa,
la novella venne sulle bocche di tutti. Ché se a tutti
costassero altrettanto i loro vizi, molti sarebbero più
continenti.
Io racconterò ancora, tra queste fiabe, una storia nefanda
ed orribile, non mai udita ne' secoli addietro, che io stesso
credevo favolosa, ma della quale ho potuto convincermi per una
lettera di un segretario del Re. Ecco come press'a poco era scritto
in una parte di quella lettera. «A dodici miglia da Napoli
è avvenuto un fatto mostruoso, in un luogo de' monti di
Somma, dov'è un borgo così chiamato. È stato
preso e condotto dal Podestà un ragazzo di circa tredici
anni, che aveva mangiato due bambini di tre anni. Egli li attirava
con blandizie in una spelonca, li impiccava e li tagliava a pezzi,
e parte di quella carne mangiava cruda, parte cotta al fuoco.
Ed ha confessato di averne mangiati molti altri, perché
quelle carni gli sembravano più saporite delle altre; e
che ne mangerebbe sempre, se potesse. E poiché si dubitava
che ciò facesse per pazzia, rispose saggiamente sulle altre
cose, e constò che operava non per demenza ma per ferocia».
Un cavaliere fiorentino, uomo podagroso, il nome del quale taccio
per suo onore, aveva moglie e questa aveva gittati gli occhi sull'intendente
della casa. Di ciò s'era egli accorto, e in un giorno di
festa finse d'andar fuori di casa, e nella stanza da letto, senza
saputa della moglie, si nascose. Questa, credendo che il marito
fosse lontano, andò tosto dall'intendente e lo chiamò
nella stanza: «Voglio», gli disse dopo poche parole
d'accoglienza, «che noi facciamo fra di noi qualche giuoco».
E avendo l'altro acconsentito: «Fingiamo», disse la
donna, «di fare fra di noi la guerra, poi concludiamo la
pace». E poiché l'altro non capiva: «Lottiamo
un poco», disse ella, «e quando mi avrai distesa per
terra, metti la tua freccia nella mia ferita e allora con iscambievoli
baci concluderemo la pace». E la cosa piacque molto all'uomo,
che aveva sempre udito far le lodi della pace e che la pace sarebbe
stata tanto soave. E poiché entrambi giacevano e ormai
si preparavano alla pace, il marito uscì dal nascondiglio:
«Cento volte», egli disse, «ai miei giorni ho io
procurata la pace; ma questa sola contro l'uso mio, non voglio
che si faccia». Così se ne andarono, senza aver potuto
concluderla.
Un tale nostro concittadino, che voleva sembrare uomo casto e
di grandissima religione, fu una volta sorpreso da un amico nell'atto,
e fu acerbamente da lui redarguito che egli, che predicava la
castità cadesse in così brutto peccato. «Oh!
oh!» rispose, «non credere che ciò io faccia
per 1ussuria, ma bensì per domare e macerare questa misera
carne e per purgare i reni». E son così fatti questi
pezzi d'ipocriti, che fanno di ogni erba fascio e vogliono sempre
coprire con qualche onesto velame la loro ambizione e le loro
nefandità.
Un eremita, che dimorava a Pisa, al tempo di Pietro Gambacorta,
condusse una notte nella sua cella una donna pubblica e se ne
servì una ventina di volte, ma sempre movendosi, per sfuggire
il peccato di lussuria, dicendo in volgare: «Dòmati,
carne cattivella». E quando la donna lo disse, e' fu cacciato
dalla città.
Un povero che traeva il viver suo traghettando il fiume, una sera,
che non vi aveva passato alcuno, tornava tardi a casa, mesto,
quando di lontano vide uno che gridava perché lo passasse;
e sperando nel piccolo guadagno, passò all'altra riva quell'uomo.
Ma avendogli chiesto il denaro, quegli giurò che non ne
aveva affatto e gli promise di dargli buoni consigli in premio
dell'opera sua: «Come», disse il barcaiuolo, «mentre
la mia famiglia muore di fame, dovrò darle de' consigli
a mangiare?». «E questo soltanto», rispose, «io
posso dare». Il barcaiuolo, molto adirato, chiese che cosa
dicessero questi consigli: «Che tu», disse il viaggiatore,
«non devi mai trasportare alcuno senza aver prima avuto il
denaro; e che tu non dica mai a tua moglie che un altro lo ha
più abbondante». Udite queste cosee e' tornò
afflitto a casa. E alla donna, che gli chiese denaro per comprar
del pane, disse, che in luogo di denaro egli recava dei buoni
consigli, e le narrò la cosa, e le disse i consigli che
aveva ricevuti. La donna quando sentì parlar d'abbondanza,
drizzò le orecchie: «Forse che», chiese, «voi
uomini non ne avete tutti la stessa quantità?». «Che!
«rispose, «vi sono fra di noi grandi differenze; il
nostro prete ne ha forse più del doppio», e stendendo
il braccio, le mostrò la misura. La donna, tosto accesa
di voglia, volle il più presto che poté esperimentare
se suo marito avesse detto il vero. Così mutata in stoltezza
quella che doveva esser sapienza, imparò il pover'uomo
che non si hanno a dire le cose che ci sono nocive.
Un certo milanese, sia per sciocchezza, sia per ipocrisia, sia
per paura di dimenticarli, aveva scritto in un grosso quaderno
i suoi peccati, e andò con questo una volta da un uomo
molto dotto e perito in sì fatta materia, chiamato Antonio
Randanense di Milano dell'ordine dei Minori, per confessare i
peccati suoi; e pòrtogli il quaderno, lo pregò di
leggerlo, ché esso conteneva tutta la confessione de' suoi
peccati. L'uomo avveduto e saggio, che vide che la lettura di
quel volume richiedeva molto tempo, conosciuta la stoltezza dell'uomo,
lo interrogò sommariamente, poi gli disse: «Io ti
assolvo compiutamente di tutti i peccati che sono qui scritti».
E poi che l'altro gli chiese qual penitenza fosse per infliggergli:
«Per un mese», gli disse, «tu leggerai questo codice
sette volte il giorno». E per quanto dicesse che ciò
non si potea fare, il confessore rimase sull'avviso. E così
la prolissità dello sciocco fu vinta dalla risposta.
Un tale che era di poco ferma salute, e poco ricco, aveva preso
moglie; andò, d'estate, una sera a cena dai parenti di
questa, e condusse seco un amico, pregandolo di aggiungere sempre
col discorso a ciò che egli avrebbe detto. Quando la suocera
lodò la veste che egli indossava, disse che ne aveva un'altra
più bella, e l'amico che esso ne aveva una il doppio più
bella ancora. E quando il suocero gli chiese se avesse dei possedimenti,
ed ei rispose che aveva un fondo fuori del paese, che gli rendeva
abbastanza per vivere: «Non ricordi dunque», disse l'amico,
«l'altro fondo che possiedi e che ti produce tanto denaro?»
E così via, di tutte le cose che egli vantava, l'amico
aggiungeva il doppio. E poi che il suocero gli diceva che mangiava
poco e lo pregava di prender cibo: «Io», disse, «all'estate
non sto bene»; e l'amico, per mantenere le cose come aveva
cominciato: «Egli è», soggiunse, «assai
più di ciò che egli dica; perché, se sta
male all'estate, sta assai peggio nell'inverno». A queste
parole tutti scoppiarono dalle risa, e la esagerazione dell'uomo,
indirizzata a false lodi, ebbe il premio che si conviene alla
stoltezza.
Pasquino da Siena, che fu uomo gioviale e faceto, quando la città
mutò governo, si recò esule dalla patria a Ferrara;
venne qui per vederlo un cittadino senese, uomo di poco valore,
che da Venezia tornava a Siena; fu ricevuto cordialmente da Pasquino,
e nella conversazione promisegli l'opera sua se egli in favor
suo potesse qualche cosa e mostrando per vanità che egli
a Siena era molto potente, aggiungendo che egli faceva parte del
corpo di Stato: «Che Dio voglia», disse Pasquino, «che
questo presto crepi affinché tu e i pari tuoi ne possano
il più presto uscire». E così giocondamente
punì la vanità di quel tale.
Un dottore di Milano, uomo sciocco ed ignorante, un dì
che vide un tale che con una civetta andava alla caccia, lo pregò
di condurlo seco, perché desiderava di vedere. I1 cacciatore
acconsentì e nascose il nostr'uomo sotto le frondi vicino
alla civetta, col patto che non proferisse parola, perché
gli uccelli non si spaventassero. Ed essendo venuti molti uccellini,
quello sciocco lo gridò subito, perché l'altro tirasse
le reti. E gli uccelli, udita la voce, scapparono. Ma sgridato
acerbamente dal cacciatore, promise il silenzio; ed essendo gli
uccelli tornati, quello stolto lo disse prontamente con parole
latine: «Aves permulta sunt», credendo in questa
lingua gli uccelli non avrebbero compreso. E questi fuggirono
di nuovo, e il cacciatore, smarrita la speranza di far buona preda,
rimproverò anche più acerbamente il dottore di aver
parlato. E questi: «Forse che», disse, «gli uccelli
sanno il latino? « Credeva egli che se ne fossero andati
non pel suono, ma per il significato delle parole, come se le
avessero capite.
La moglie di un tale di Siena era coll'amante nel giuoco, e, dopo
questo, avendogli egli detto per contumelia che non aveva mai
trovato donna meglio aperta, ella credendo che ciò le tornasse
a lode: «Questo che dici», gli rispose, «è
per bontà tua, non per merito mio; magari che quello che
mi hai detto fosse vero! che io per questo mi riputerei più
nobile e degna di maggior stima».
Una giovane di Firenze, un po' vuota di testa, era nel parto e
soffriva atroci dolori; e duravano già da molto tempo,
quando la comare, con un lume, andò ad osservare di sotto
se il bambino non stesse per uscire, e la partoriente le disse
di guardare anche dall'altra parte, perché qualche volta
il marito aveva preso quella via.
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