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Distanze per costruzioni, alberi, luci, vedute

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Edoardo Mori

Magistrato

DISTANZE PER COSTRUZIONI, ALBERI, LUCI, VEDUTE
Esposizione aggiornata degli articoli
873 - 908 del Codice Civile

con 180 illustrazioni tratte dall'opera di
Guido Labriola e Vincenzo Rizzi

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Le distanze fra le costruzioni sono regolate dalle legge per vari motivi: perché ogni proprietario possa godere del suo immobile con il minor sacrificio per i vicino o, se necessario, con pari sacrificio, per evitare che si creino situazioni insalubri o fonti di discordia, ecc.
La legge quindi prevede che chi edifica deve rispettare i piani regolatori e i regolamenti comunali (artt. 869-871 C.C.) e che non è consentito violare le norme sulle distanze contenute negli artt. 873-899 C.C. e le norme dei regolamenti che questi articoli richiamano. In caso di violazione chi la ha subita può richiedere la rimessione in pristino (art. 872 C.C.), vale a dire che la costruzione che viola le distanze sia rimossa fino alla distanza di legge.
Se sono violate norme amministrative diverse da quelle richiamate, chi ha subito la violazione può chiedere solo il risarcimento del danno.
La giurisprudenza del passato, troppo vincolata a vecchi dogmatismi ignoti alla lettera della legge, ha sovente affermato che le norme sulle distanze nelle costruzioni hanno per scopo principale quello di evitare la formazioni di intercapedini antigieniche, così che non sarebbero norme integrative del codice civile quelle norme di regolamenti comunali aventi diversa funzione (estetica, urbanistica, ecc.). Ora ci si è resi conto che la distanza fra gli edifici risponde ad esigenze multiple, tutte di egual importanza anche sul piano costituzionale (igiene, sicurezza da accessi, sicurezza da incendi, difesa della privacy. In una parola difesa della qualità della vita) per cui non ha senso arrampicarsi sugli specchi per difendere chi edifica abusivamente. Si consideri tra l'altro che l'argomento dell'igiene e salubrità non è certamente invocabile per le distanza degli alberi dal confine!
La regola ormai prevalentemente accettata è quindi che ogni norma sulle distanze delle costruzioni, siano esse nel codice civile, o in regolamenti comunali, o in leggi speciali (costruzioni sismiche) può essere invocata per la rimessione in pristino.
Le norme stabilite dai regolamenti comunali e da altre leggi speciali sono inderogabili (così Cass. 19449/2004, dopo assurde diverse affermazioni del passato) e quindi non possono essere derogate per convenzione fra le parti.
Anche le distanze fissate dagli artt. 873-899 sono inderogabili, ma è possibile acquisire per usucapione ventennale la servitù di tenere la costruzione (o pozzo, o albero, ecc.) a distanza inferiore a quella legale. Dice la S. C. "Anche se il potere di far valere le limitazioni della proprietà nei rapporti di vicinato e imprescrittibile, nondimeno e ammissibile la costituzione per usucapione di una servitù il cui contenuto contrasti con una delle dette limitazioni. ( nella specie e stata ritenuta ammissibile la costituzione per usucapione del diritto di tenere una costruzione a distanza inferiore a quella dalla costruzione del vicino e dal confine prescritta dal regolamento edilizio)" (Cass. 1422/1970)

Si può quindi concludere che chi vede violare una distanza legale inderogabile in suo danno può sempre agire civilmente per la sua regolarizzazione purché non siano trascorsi vent'anni a partire dal momento in cui la violazione è stata manifesta, e che se sono state violate altre disposizioni amministrative può agire in via amministrativa per l'annullamento di concessioni o licenze e per il risarcimento del danno, fino a che l'azione non si sia prescritta o vi siano stati una sanatoria o un condono edilizi.

La giurisprudenza della Cassazione ha talvolta attenuato la normativa sulle distanze per costruzioni e vedute in ambito condominiale. Si ha l'impressione che spesso abbia ecceduto nel riconoscere il diritto del singolo ad usare delle parti comuni senza tener conto del diritto prevalente del singolo a non veder peggiorata la sua situazione.

Le norme del codice civile sulle distanza fra le costruzioni e le distanze per luci, vedute, prospetti, le relative norme sulle servitù prediali, frutto di una elaborazione millenaria, sono molto chiare, ma richiedono che l'interprete possieda un po' di nozioni di edilizia e comprenda esattamente il significato dei termini usati e che sappia applicare la norma alla situazione concreta.
L'esposizione della materia deve essere perciò accompagnata da disegni che rendano esplicita la situazione dei luoghi e ciò che il legislatore ha inteso dire.
Già nell'Ottocento si rinvengono opere del genere come quella di Piccoli Luigi, Le servitù prediali ridotte in casi pratici incisi in rame e geometricamente dimostrate. Nuova edizione riformata coll'applicazione dei rami al Codice Universale della monarchia austriaca in cui sono comprese anche le servitù personali con annotazioni relative al codice italiano cessato, al diritto romano ed a' classici autori. Milano, Batelli e Fanfani, 1818., oppure quella di Castelli Giuseppe Antonio, Questioni diverse sulle servitù prediali . Milano, Visaj, 1820.
Preziosa opera sull'argomento, più vicina ai nostri tempi, era il testo Le Servitù Prediali dell'avv. Guido Labriola e dell'ing. Vincenzo Rizzi, pubblicato a Bari nel 1948, arrivato alla terza edizione nel 1951, a cui attingerò, specialmente per le immagini, per questa mia esposizione molto sintetica della materia. Il testo delle didascalie è stata variato per sintesi e per adattarlo alla giurisprudenza posteriore. Avverto che la giurisprudenza è spesso confusa, forse proprio perché è spesso difficile cogliere con le parole (e ancor peggio con la sintesi di una massima) situazioni di fatto non facilmente descrivibili.

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