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Mori's Humor Page
Umorismo, facezie, testi letterari curiosi


Carmina Priapea

Questa è una mia traduzione senza pretese dei Carmina Priapea. Non mancano certo altre traduzioni quali:
Giovanni Bach, Carmina Priapea, De Carlo, Roma 1945
Cesare Vivaldi, Carmina Priapea, Guanda, Milano 1976 e Newton Compton 1996
Lucio Mariani, Carmina priapea, Ponte alle Grazie, Firenze, 1992
Esule Sella, I versi di Priapo, Fogola, Torino, 1992.
Ettore Barelli, Carmina priapea, Nuova Pratiche. Milano, 1997
Jolanda Insana, Carmi Priapei, ES. Milano 1999
Antonio Castronovo, Carmi Priapei, Stampa Alternativa, Milano 2001
AA. VV, Li sonetti pe’ Priapo aridotti in romanesco, Valentino de Carlo, Roma 1977
In inglese è importante la traduzione di Leonard  C. Smithers e Sir Richard Burton del 1890.
Mi disturbava il fatto che nessuna fosse reperibile in Internet. Ve ne è una sola di Fiornando Gabbrielli, ma essa ha il difetto di essere in versi e molto libera. Ora i Carmina non sono interessanti per le loro qualità poetiche (del resto irripetibili in una traduzione), ma come documento di costume e quindi è essenziale cercare di rendere il senso preciso del testo in relazione a quanto si conosce degli usi sociali e religiosi romani. Quindi la mia traduzione ha cercato di essere quanto più possibile aderente al testo. Il vero problema è che spesso il testo è incerto e che le molte lacune  sono state ricostruite dai curatori nel tentativo di dare un senso logico a frasi del tutto oscure. E molte di esse rimangono oscure perché fanno riferimento ad usi che non conosciamo o perché contengono allusioni che ci sfuggono o perché usano vocaboli di significato per noi incerto. Nel dubbio ho sempre cercato di dare un senso compiuto alla frase. I titoletti non sono presenti nel testo originale e sono opera mia.
L’opera, tramandataci con più nomi, Priapea, Carmina Priapea, Priapeia, Carmina Priapeia, Corpus Priapeorum, è una raccolta di circa 80 poesie (il numero varia perché alcuni curatori hanno diviso poesie un po’ lunghe in due poesie più corte) a cui sono state poi aggiunte dai raccoglitori poesie di Orazio, Ovidio, Marziale, Catullo, aventi ad argomento il dio Priàpo. Anche le tre Priapeia della Appendix Virgiliana sono finite nella raccolta  del  Corpus Priapeorum, portando il numero complessivo di composizioni a 95. L’Inno a Priapo non proviene da palinsesti ma da una stele.

L’opera era ben nota agli umanisti del Rinascimento; nel 1664 venne commentata da Kaspar Schoppe e da Giuseppe Giusto Scaligero con il titolo Priapeia: sive Diversorum poetarum in Priapum lusus.
Ampia è stata la disputa circa l’autore dell’opera; l’ opinione corrente è che si tratti di una raccolta di com­posizioni anonime, risalenti al periodo di Mecenate e quindi al’inizio primo secolo dopo Cristo. Nulla esclude ovviamente che qualcuna di queste composizioni ano­nime sia stata composta da qualche poeta famoso e al­cune sono state attribuite in passato a Ovidio, Catullo, Tibullo, Virgilio. Effettivamente alcuni versi riecheg­giano versi di questi poeti, ma è ben possibile che si tratti di parodie, visto che componimenti così brevi non richie­dono chissà quale arte poetica.
Ci si è chiesto come mai questo tipo di letteratura sia stato così raro a Roma, limitato com’ è a questi Carmina, al Satiricon, alle Satire di Giovenale.
La risposta è fornita egregiamente da Paul Englisch, Geschichte der erotischen Literatur, Berlino 1927, il quale scrive (trad. M. Montanari):  Per quanto i romani fossero dissoluti nelle loro azioni e nei loro scritti, non sopportavano un racconto scollacciato. Se qualcuno usava una parola sconcia, se ne scusava con una formula introduttiva : sit venia verbo, honos auribus sit. Quintiliano definisce tali espressioni : Praefanda. Questo pudore è in molti casi effetto di una superstizione caratteristica dei romani. Infatti dire parole oscene era considerato un presagio sfavorevole. Di conseguenza tali espressioni erano proibite persino nella cerchia dei viveurs e delle ragazze di piacere. Plauto dice nella sua commedia Casina : «Dire parole indecenti significa portar sfortuna al proprio interlocutore», e Lucio Accio aveva scritto nella sua commedia Oenomaeus: « Dite per le città e le campagne che tutti gli abitanti, per assicurarsi il favore degli dèi con presagi favorevoli, debbono evitare ogni espressione indecente ». Il fatto che Plauto, Marziale, Catullo e Orazio abbiano liberamente fatto uso di parole oscene può essere attribuito alla loro cultura greca, ma è Giovenale che fece il maggior uso di espressioni oscene per suscitare nausea e ribrezzo proprio a questo proposito. Tuttavia non si può facilmente risolvere questa evidente contraddizione fra l'essere e il sembrare. Ogni popolo, ancora ai primordi della sua cultura, non ancora corrotto dalla troppa civiltà, parla liberamente, senza vergogna e con tutta naturalezza di ogni cosa che sia strettamente connessa alla procreazione ed alle necessità corporali. Quando la civiltà mette radici e provoca il diffondersi della raffinatezza, dell'ipercultura e del fasto, si abbandonano le vie dirette e si preferiscono espressioni contorte che in fondo dicono la stessa cosa, ma evitano l'antica, aperta brutalità. Tuttavia, avendo acquisito una sensibilità più raffinata, il lettore è maggiormente disposto a rilevare certe sfumature e così gli saltano agli occhi quelle frasi e quelle parole il cui suono fa pensare anche solo vagamente alle cose proibite ed escluse dal linguaggio comune. Ma non si può rinnegare la natura e poiché l'uomo resta ben consapevole della necessità dei bisogni ora occultati, seppure non più riconosciuti nei loro diritti, si arriva alla menzogna cosciente, voluta, al pudore affettato, e ci si afferra disperatamente a questo per mantenere le apparenze della decenza, anche quando ne è già sparita da tempo la più piccola traccia. Ma poiché si continua pur sempre a nuotare in un mare di lascivia e nello stesso tempo la si vuol nascondere agli altri, si finisce col preferire la perifrasi, la maschera, che cela e allo stesso tempo lascia intuire, e molto. È così che si costituisce la vita pubblica. Ma per quanto riguarda la vita privata, chiusa fra quattro pareti e nascosta agli occhi della gente ci si esprime e si agisce oggi come un tempo in piena libertà.

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